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Per molti anni gli enterprise service bus (ESB) hanno rappresentato una scelta d’elezione, tra i sistemi d’integrazione, per permettere alle applicazioni d’impresa di comunicare tra loro e quindi collegare funzionalmente i processi aziendali più importanti. Un modello di successo finché non sono comparse le nuove applicazioni in cloud e, con esse, l’esigenza di utilizzare sistemi d’integrazione differenti, basati anch’essi nel cloud.
Questo è il caso del Data Fabric e delle piattaforme iPaaS (integration Platform as‑a‑Service), a cui si aggiunge il modello formulato dagli analisti di Gartner come Digital Integration Hub (DIH).
Vediamo insieme come funzionano i diversi sistemi d’integrazione e perché il nuovo paradigma DIH rappresenta un salto generazionale importante rispetto alle soluzioni s’integrazione già esistenti.
L’enterprise service bus (ESB) è un’architettura nata all’inizio degli anni 2000 per collegare insieme più applicazioni attraverso l’adozione di un’architettura di tipo “bus”. Si tratta di un sistema d’integrazione diffuso e adatto per equipaggiare le service‑oriented architecture (SOA), disaccoppiando le singole applicazioni in modo che possano comunicare tra loro senza dover dipendere dagli altri sistemi connessi al bus, come invece accadeva con le integrazioni punto‑punto, più complesse da aggiornare e da monitorare nel funzionamento.
Un sistema ESB si avvale di API REST, ossia di interfacce applicative conformi allo standard architetturale REST (il representational state transfer pensato per il supporto dei sistemi distribuiti), della business logic e di molteplici connettori di protocollo per gli scambi di messaggistica in formati aperti come XML, ma anche attraverso file, dati binari, e quant’alto occorra per comunicare con applicazioni proprietarie e legacy.
ESB è caratterizzato da un approccio centralizzato, adatto alle applicazioni monolitiche, che non brilla per scalabilità e robustezza. Le prestazioni possono essere migliorate solo scalando in blocco il sistema di integrazione, rischiando di diventare un single point of failure. Codice e business logic dipendono dal fornitore del sistema, e questo fa sì che l’approccio ESB comporti un alto rischio di lock‑in con il fornitore e possa essere d’ostacolo per l’evoluzione futura dell’azienda.
Gartner definisce le iPaaS come “suite di servizi in cloud che consentono lo sviluppo, l’esecuzione e la governance dei flussi d’integrazione e che collegano, nelle più svariate combinazioni, processi, servizi, applicazioni e dati on‑premise oppure in cloud all’interno di organizzazioni singole o multiple”.
Nate dai tool realizzati per le integrazioni negli ambiti dell’ERP e del CRM, le iPaaS si sono evolute sotto forma di complete piattaforme d’integrazione, accompagnando da un decennio a questa parte lo sviluppo del cloud nelle imprese medio‑grandi, come alternativa a ESB.
Grazie al fatto di essere basate su cloud, le iPaas permettono una maggiore scalabilità rispetto agli ESB, e come sistemi di integrazione risultano efficaci nel supporto dei grandi flussi di dati tra sistemi distribuiti o anche esterni all’organizzazione.
Anche le iPaas comportano dei limiti relativi all’uso di tecnologie proprietarie, all’approccio centralizzato e ai costi di licenza importanti; inoltre, non permette di ridurre il carico di lavoro generato dalle chiamate ai sistemi sottostanti. Nel mondo d’impresa, spinto oggi dai mercati ad evolvere verso logiche omnicanale, a costruire valore sulla qualità della user experience, sulla capacità di gestione, raccolta e analisi dei dati, iPaas non risolve le necessità di disaccoppiamento dei dati.
Il concetto di Digital Integration Hub (DIH) è il più recente tra i sistemi d’integrazione. Nel 2019 Gartner lo descrive in un suo report come “un’architettura emergente destinata a diventare fondamentale”, ponendolo al centro dell’attenzione. Un paradigma che ha trovato casa presso le grandi aziende (contenuto accessibile per clienti Gartner).
Il DIH raggiunge lo scopo di realizzare un completo disaccoppiamento dei sistemi dai punti di contatto, supportando al meglio le tecnologie cloud‑native, microservizi in container, API Rest, GraphQL e architetture a eventi.
Sul fronte dei dati, il DIH è adatto al supporto di flussi fast‑data in real‑time 24/7, e alla creazione di Single View, viste uniche sui dati più significativi appositamente aggregati .
Il DIH è caratterizzato da un approccio che si sposa efficacemente con soluzioni modulari, servizi containerizzati che possono essere scalati in modo indipendente, garantendo prestazioni e affidabilità di funzionamento.
Tra i sistemi d’integrazione, il DIH propone un approccio aperto che evita il lock‑in permettendo di fare deploy del codice su differenti piattaforme in qualsiasi momento e di realizzare il mainframe offloading, riducendo i carichi e tagliando significativamente i costi.
In una situazione di mercato che obbliga le imprese a essere più veloci nei processi ed efficaci su tutti i canali di contatto e vendita con i clienti, i sistemi di integrazione diventano la chiave per garantire maggiore flessibilità e una migliore customer experience.
Tra i sistemi di integrazione di più recente definizione, il DIH mette insieme le prerogative di leggerezza e scalabilità che derivano dall’impiego del cloud con quelle di supporto ai flussi di dati distribuiti e in tempo reale che sono necessari alle nuove applicazioni. Le capacità di aggregazione dei dati consentono viste unitarie aggiornate sugli andamenti del business e i comportamenti dei clienti in logica multicanale. L’apertura dell’architettura mette al riparo dal lock‑in nei riguardi dei fornitori ed è insieme una promessa per gli sviluppi futuri.